CHI VESPA MANGIA LE MELE

CHI VESPA MANGIA LE MELE

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Motocicletta a complesso razionale di organi ed elementi con telaio combinato con parafanghi e cofano ricoprenti tutta la parte meccanica.

Se ve l’avessero presentata così, dite la verità, vi sareste mai avvicinati? Ci avreste fatto un giro? Allora la chiamiamo in modo diverso, più familiare e meno da brevetto: Vespa.

E’ lei la signorina con il motore a due tempi da 98 cm cubici, il cambio a tre marce sul manubrio e la linea inconfondibile che fa il suo debutto nel mondo dell’industria il 23 aprile 1946, esattamente 75 anni fa.

Disegnata da un ingegnere aereonautico, Corradino D’Ascanio, che odiava le moto e voleva far volare gli elicotteri, ma che trasfuse la sua competenza e la sua ingegnosità in un modello che sarebbe diventato in breve tempo sinonimo di design e italianità. Le scelte costruttive dell’epoca furono semplici e geniali: produrre un modello che potesse andare bene per tutti, economico e dalla meccanica affidabile. Ma soprattutto dalla soluzione banale quanto vincente: una moto su cui ci si può sedere, senza dover scavalcare un corpo centrale, quasi si fosse alla guida di una poltrona.

La Vespa ’98 costava 55.000 lire dell’epoca, nella versione classica, ma salendo un poco di prezzo si potevano avere anche il contachilometri e gli chiccosissimi pneumatici con fondo bianco.

Venduta in circa duemila esemplari nell’anno del debutto, già 365 giorni dopo ne circolavano diecimila. E il successo commerciale non si sarebbe più arrestato.

La carenatura, le chiappe che nascondevano motore e ruota di scorta, la ruota anteriore con ammortizzatore di evidente derivazione aeronautica la rendevano davvero unica. E il mercato presto si allarga. Tutti la vogliono: in Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna si aprono stabilimenti. Si punta a oriente, in India e Cina, come ad occidente, in Brasile e Stati Uniti.

Non mancano però, come per tutti i prodotti di successo, le imitazioni a sorpresa: nel 1957, in piena guerra fredda, anche l’URSS produce nella fabbrica di Kirov, per la gloria del Popolo sovietico, la VPMZ Vjatka VP 150. Un clamoroso plagio impronunciabile! Che, però, non avrà altrettanta fortuna e durata. Nel 1966, infatti, la produzione verrà interrotta.

La Vespa, dal canto suo, viaggia spedita nella cultura di massa. Non si contano i film in cui questo mezzo a motore è presente o indiscusso protagonista: da “Vacanze romane”, con forse il più celebre e gioioso scorrazzare per le vie del centro storico di Roma di Audrey Hepburn e Gregory Peck; passando  per i riti di iniziazione e disillusione giovanile di  “American Graffiti”, con lo spettro della guerra del Vietnam  e  gli scontri tra mods e rockers sulle spiagge di Brighton di “Quadrophenia”. Fino a giungere a quel “Caro diario” di Nanni Moretti, in cui è sempre lei il centro della storia, tanto da meritarsi il ruolo di protagonista nel primo episodio “In Vespa” e il posto d’onore sulla locandina. “E allora andiamo a vedere Spinaceto”, era una delle battute fulminanti. E via!

Ma forse il momento di massimo successo industriale è quello a cavallo tra gli anni 70 e gli 80, quando il vespino 50 (o specialino) è diffusissimo soprattutto tra i giovani. Anche se la Piaggio comincia a proporre  altri modelli come il Ciao, il Boxer e poi il Si, resta lei la regina incontrastata.  I teenagers si muovono su due ruote, in gruppetti numerosi: si danno appuntamento ai muretti per parlare di musica, calcio e sentimenti, quando bastava una maglietta fina per innamorarsi perdutamente, alla ricerca di un bacio a labbra salate. Di quegli anni sono forse gli slogan pubblicitari più belli: “Con Vespa si può”, “Mela compro la Vespa”, “chi Vespa mangia le mele”.

Impossibile non innamorarsi del fanale anteriore rettangolare, del nasello che copriva il tubo di sterzo, del suono del clacson.

Molti preferivano sostituire la sella monoposto a gobbino con quella allungata (anche se andare in due era vietato), e in parecchi si sono cimentati a truccare i motori per ottenere maggiore prestanza: “ io vengo da Primavalle / col vespino rosso bordò/ in prima me fa na piotta/ in seconda nun ce lo sò!” (come si cantava, a ritmo di mambo, sfrecciando per le strade di periferia).

Insomma, la Vespa è democratica, popolare e indistruttibile ed è stata declinata in così tante versioni, motorizzazioni e allestimenti (se ne contano decine), da aver attraversato indenne ben 75 anni. Di felicità.

ViCuAEffe